Noi di lend incominciamo a dare il nostro contributo alla discussione con questo articolo di Nadia Sanità per la rubrica “Lost in metaphors” che vuole subito sgombrare il campo da tutta una serie di equivoci sull’apprendimento delle lingue, sull'inglese per tutti sempre e subito, sul tutto in inglese e altre amenità che anche in questi giorni continuano a prevalere nella discussione. Se vogliamo affrontare il dibattito e la consultazione in modo serio sarebbe bene che iniziassimo subito ad essere seri sulle cose che diciamo. E senza inutili anglicismi.
Primo luogo comune: è più importante imparare l’inglese perché è più utile delle altre lingue. Quando sentono questo click gli “esperti” scodinzolano felici. La scuola, invece, dovrebbe avere obiettivi di formazione culturale olistica e non scimmiottare i corsi aziendali e le scuole private di lingue straniere. La società della conoscenza, obiettivo strategico dell’Unione Europea, si costruisce non solo studiando una lingua franca, ma conoscendo altre lingue. Ma in Italia l’UE è come un ristorante à la carte da cui si sceglie ciò che piace e si evita ciò che non piace. Sostenere poi che sia più utile condurre una trattativa d’affari in inglese con un potenziale socio francese che non in francese per convincerlo, non è solo discutibile, ma è pateticamente ridicolo.
Secondo luogo comune: solo soggiornando a lungo all’estero si può imparare perfettamente una lingua. Se così fosse, non ci sarebbero francesi, inglesi, spagnoli, tedeschi che vivono e insegnano in Italia e ancora combattono con le concordanze, i falsi amici e i digrammi dell’italiano dicendo “siamo tutti d’accordi”, chiedendo al divertito salumiere “il prosciutto senza preservativi” e scrivendo “li studenti”. Un mero soggiorno non accompagnato da un approfondito studio della lingua del paese straniero aiuta a impararne l’idioma solo a livello superficiale e non si è in grado di scrivere testi sintatticamente e lessicalmente complessi, né di capirli. Si raggiunge un livello di fluency accettabile e si riesce a comunicare, ma non si arriva mai all’accuracy. Il soggiorno nelle famiglie è un’esperienza umana e culturale arricchente, ma la famiglia è pagata per offrire vitto e alloggio, non per fare conversazione con lo studente.
Terzo luogo comune: per imparare bene l’ortoepia inglese, è necessario interagire continuamente con persone di madrelingua. Quale inglese? Britannico, americano, australiano, etc? Boh! Gli “esperti” non specificano. Esercitarsi a conversare non significa imparare la pronuncia. Tali conversazioni non servono ad acquisire le strategie adeguate per non sbagliare, dato che gli interlocutori spesso ignorano la fonetica. A loro viene automatico e naturale pronunciare in quel modo e non possono capire le difficoltà dell’apprendente italiano, non avendo avuto a propria volta lo stesso problema. Far ripetere parole e espressioni difficili o farle ascoltare più volte ha a che fare con l’addestramento e non con l’insegnamento: click, click, click!
Quarto luogo comune: per sapere l’inglese bisogna impararlo sin da piccoli. Dalla scuola dell’infanzia anzi no, dall’asilo nido, e perché non scegliere corsi pre-parto condotti in inglese: prima è meglio è! Una lingua si può imparare a qualsiasi età, perché nell’apprendimento la motivazione è ciò che conta di più.
Quinto luogo comune: solo le certificazioni garantiscono la conoscenza di una lingua. Se così fosse, gli studenti universitari con i vari certificati acquisiti in itinere, perché addestrati con il “teaching to the test” che abbiamo usato tutti, non ritornerebbero dagli “addestratori” per farsi aiutare a scrivere l’abstract della tesi. Come on! Ogni tanto un bagno nella realtà servirebbe più del bagno linguistico.
Infine, voglio offrire una lezione di inglese gratuita agli anglofili impenitenti a reti e testate unificate: JOBS Act si scrive così perché è l’acronimo di Jumpstart Our Business Startups. La “s” è il plurale di startup e non altro. Le iniziali formano la parola jobs che evoca l’obiettivo, ossia la crescita dell’occupazione, mediante facilitazioni all’imprenditorialità giovanile.