L’Italia, nella classifica globale sulle scuole Pisa 2012 stilata dal 2000 ogni tre anni dall’Ocse sugli allievi quindicenni per quanto riguarda le materie di matematica, lettura e scienze, oscilla tra la 27esima e la 33esima posizione. Oltre un quarto dei quindicenni italiani riesce soltanto a interpretare informazioni semplici leggendo un libro o qualsiasi altro testo scritto in italiano.
In questo quadro qual è la preoccupazione del Ministro? Che gli studenti italiani non conseguano “almeno” il C2 nelle lingue straniere e che le varie discipline dovrebbero essere insegnate da madrelingua in inglese e francese già dalla scuola primaria (Intervista del 27/03/2014 a Repubblica).
Sarà stato un lapsus linguae, avrà voluto dire B2, ma la soluzione che propone non è solo impraticabile -a meno che non si pensi di deportare un numero spropositato di madrelingua dopo averli obbligati a laurearsi nelle varie discipline insegnate nella scuola italiana- ma è anche scandalosa per le conseguenze che avrebbe l’attuazione di questa proposta fantascientifica: la scomparsa dell’italiano come lingua di cultura. In nessun paese del mondo si insegnano le lingue straniere in questo modo, e men che meno a scapito della lingua madre. Inoltre ci si chiede quali venusiani abbiano insegnato finora l’inglese e le altre lingue straniere ai sempre più numerosi studenti che superano le certificazioni, che frequentano università straniere o trovano lavoro all’estero. Il mito del madrelingua è invincibile, ma chi è al vertice del MIUR dovrebbe sapere che non basta parlare una lingua per saperla insegnare e essere consapevole dell’importanza della glottodidattica. Altrimenti perché non proporre a tutti i cinesi che gestiscono ristoranti e altre attività commerciali di insegnare nelle nostre scuole la loro lingua, che non sia né mandarino né cantonese standard poco importa, perché siamo un po’ cialtroni e questi bizantinismi non li consideriamo. Gli insegnanti di balli latino-americani potrebbero insegnare spagnolo, “una mano en la cabeza- un movimiento sexi” decisamente più divertente che studiare il romanzo picaresco.
Oppure gli emigrati in Germania che tornano in Italia, dopo avervi trascorso la loro vita lavorativa, potrebbero integrare la pensione insegnando tedesco per pochi euro nelle nostre scuole; le cameriere londinesi potrebbero fare un salto nella scala sociale ed essere assunte in Italia, e perché non affidare una classe di odontotecnici all’igienista dentale più famosa d’Italia, che è anche madrelingua inglese? Qual è il problema? Non hanno nozioni di pedagogia, non conoscono la storia e la letteratura, i linguaggi settoriali, la legislazione scolastica italiana, ignorano i complessi problemi della valutazione? Non sono laureati, non sanno che cosa significano gli acronimi LIM, DSA e BES e magari pensano che indichino marche di abiti sportivi o che Wernicke e Broca siano due centravanti sempre in area, d’altra parte Broca fa rima con Cantona! Ma perché scandalizzarsi se non sono laureati e non hanno mai superato un esame di abilitazione all’insegnamento? Si tratta di dettagli trascurabili, biechi interessi di categoria espressi nel solito sindacalese che ha rovinato l’Italia; accogliamo invece il nuovo che avanza, i luoghi comuni d’accatto e la talentuosa forma d’arte che i nostri politici ci regalano costantemente e a piene mani: la deliberata e compiaciuta arte della cavolata.